Gerardo Masuccio, il giovane poeta in ‘Fin qui visse un Uomo’

E non mi scuote il punto di domanda:

che il peccato sia un dono o una colpa

è il dilemma del folle,

che l’amore sia un fiume

cui manca la foce – o la fonte –

è l’inganno del mite.

Questo mio sopravvivermi invece

non trova risposta

tra la polvere e i piatti di carta,

nell’istinto dell’acqua e del sonno.

E si nutre – spiraglio taciuto –

del tiepido gelo

d’esser qui, ma per sbaglio.

*

In fondo è l’attesa perenne

che sia primavera,

è il passo tremante che segue,

fuggendo, la stasi.

Ma tra i colpi del vero sorprende

-premura inaudita-

che di là dal tempo e dai luoghi

noi siamo reciproca cura.

Non c’è tempo che il fiato scandisca,

il domani è la terra dei folli

e io l’ho sorpreso

nello scendere scale già scese

di un autunno che ogni anno si inverna.

Mentre lento dal ventre di Siena

rifugge un istante,

non attendo che un’ora trascorsa.

*

Fermarsi alla vita – per altri –

è licenza d’eterno:

tu sola persisti a contarmi le ciglia del cielo,

a studiare l’accordo silente

del fiore che s’apre.

Direbbero – e in tanti – che il nostro

è un insano delirio,

questo spingerci al molto nel nulla,

ma l’oltre è un vantaggio che giova

a noi soli, a chi sa.

*

Dal muro di vetro del Melùha

una luce mi sveglia in assalto.

È Mumbai che risorge dal lago

e protesta la morte con artigli di sfera rovente,

con fauci di fango.

È Mumbai con il crine d’avorio,

dal dorso di spezia,

e nell’algebra del suo squilibrio

scopro in me uno scarto di vita.

*

La coltre perlacea di nebbia

che inganna il mio occhio

è ancora la stessa

che cuce un ricamo di nubi

alla stoffa del lago

di là dai cipressi del porto.

L’autunno è passato di qui

seminando abbandono.

Col silenzio atterrito

in cui si risveglia

la sala da ballo

nel giorno che segue la festa,

Gardone – smarrita – mi stringe,

si scopre trascorsa.

È in questo sconcerto che freme il mio urlo di vita.

E intanto – ma è vana protesta – un telefono squilla

dai vetri serrati

di un gelido alloggio deserto.

*

Eppure nei recessi del pensiero

dove mi è ancora dato di tradirmi,

l’impermanenza annoda le radici

a superfici incerte,

al provvisorio.

Il numero di chi non ha più voce

è ancora – inerte –

nella rubrica dei vivi,

la polvere insegue l’assenza

e nel cassetto dell’infanzia

trattengo un’ ultima biglia.

Gerardo Masuccio è nato a Battipaglia, in provincia di Salerno, nel 1991. Ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza nella limitrofa Olevano sul Tusciano. Dopo gli studi classici a Eboli, nel 2010 si è trasferito a Milano per frequentare l’Università Bocconi. Ha conseguito due lauree, in Giurisprudenza e in Economia, con tesi sul diritto d’autore e sull’editoria libraria. Negli anni universitari ha fondato il salotto letterario degli studenti. Dal 2017 lavora per Bompiani e ne cura la collana CapoVersi. È inoltre redattore delle pagine digitali di Atelier. La sua poesia è apparsa in antologie, riviste, siti specializzati e opuscoli non venali. “Fin qui visse un uomo” è la sua opera prima.

di Giuseppe Rigotti

©️Riproduzione riservata

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